19 Aprile 2024
Le opere
L’obbligo imposto agli insegnanti di eloquenza di pronunciare una solenne orazione all’apertura di ogni anno scolastico diede a Vico il modo di comporre sei prolusioni (1699-1706), che costituiscono i suoi primi scritti filosofici, e che, rielaborate negli anni successivi, furono pubblicate postume nel 1869. Una settima prolusione, pronunciata il 18 ottobre 1708 e pubblicata l’anno seguente con il titolo De nostri temporisstudiorumratione, segna la prima affermazione originale del pensiero vichiano. Negli anni seguenti, accentuatasi la sua posizione polemica contro Cartesio, approfonditi i suoi studî platonici, compose il De antiquissimaItalorumsapientia ex latinae linguae originibuseruenda, che doveva constare di tre libri (uno sulla metafisica, con un’appendice sulla logica, uno sulla fisica e uno sull’etica) e di cui invece uscì soltanto il primo libro (1710) col sottotitolo di Liber metaphysicus. Col materiale preparato per il secondo libro, sulla fisica, Vico compose nel 1713 un opuscolo (De aequilibriocorporisanimantis), di cui sono andati perduti sia il manoscritto sia il testo a stampa, apparso postumo, pare, in una rivista napoletana alla fine del Settecento. Seguirono poi una Risposta (1711) e una Seconda risposta (1712) ad alcune censure sul De antiquissima che erano uscite anonime nel Giornale de’ letterati d’Italia. Incaricato dal suo allievo il duca Adriano Carafa, di scrivere in latino la vita del maresciallo Antonio Carafa (De rebus gestisAntoniiCaraphaei) fra il 1713 e il 1715, prese a studiare il De iure belli et pacis di Grozio, e tanto ne fu preso, che Grozio fu da allora da lui considerato come il quarto dei suoi “autori” dopo Platone, Tacito, Bacone. Frattanto condusse a termine i primi abbozzi della Scienza nuova: annotazioni all’opera di Grozio, una prolusione del 1719, una trattazione in tre libri, che sono andati quasi completamente perduti, mentre ci è pervenuto il Diritto universale, composto di una specie di manifesto stampato in foglio volante (Sinopsi del diritto universale, 1720), di due libri (De universi iuris uno principio et fine uno; De constantiaiurisprudentis), e di una lunga serie di Notae (1722). Perduto il concorso a una cattedra di diritto romano con la cui retribuzione avrebbe potuto far fronte alle sue esigenze economiche, Vico si diede alla ricomposizione dell’opera che è solitamente designata come la Scienza nuova in forma negativa, oggi completamente perduta, e che fu poi riscritta e condensata in un mese (agosto-settembre 1725) nei Principj di una scienza nuova dintorno alla natura delle nazioni, stampati a Napoli a sue spese nell’ottobre 1725 e da lui stesso chiamati poi col nome di Scienza nuova prima. Nello stesso anno, segnato da varie difficoltà e sciagure familiari, prese a scrivere l’Autobiografia, pubblicata a Venezia tra il 1728 e il 1729 a cui nel 1731 fece un’aggiunta, pubblicata postuma nel 1818. Dal 1725 al 1728 dava, in quattro lettere, notevoli saggi critici sull’indole della vera poesia, su Dante, sulla condizione degli studî in Europa, sul cartesianismo; le due sue migliori orazioni funebri, mentre s’intensificava la sua attività didattica, che aveva sempre più successo fra i giovani; un opuscolo (Vindiciae, 1729), contro un denigratore della Scienza nuova, andato disperso, e infine (dicembre 1729 – aprile 1730) la seconda Scienza nuova. Neppure questa volta l’opera ebbe successo; tuttavia la multiforme attività gli aveva ormai procurato larga fama, e così anche le sue difficoltà economiche, essendogli stato raddoppiato lo stipendio e assegnata la carica di storiografo regio (1735), furono superate. Durante gli ultimi anni non smise mai di aggiungere alla Scienza nuova commenti, note, correzioni, che, nuovamente rielaborati e fusi nel testo, costituirono la Scienza nuova terza, uscita postuma nel giugno 1744.

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